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La clinica «elefante» e gli ospedali in fuga

La casa di cura diventata ospedale ha stravolto un assetto, urbano e viario. Resta il degrado del Rubattino

Della serie: come complicare la vita a un quartiere tranquillo. Niente stranieri, questa volta. Parliamo di urbanistica e sanità. Via Catalani-via Jommelli: villette e palazzine primo Novecento, bei giardini alberati, l'università a due passi. C'è una clinica privata, la Santa Rita, schiacciata fra residenze di antico buon gusto. Un giorno si gonfia, si espande, arriva la variante al piano regolatore, tre piani sotto, sei piani sopra e zac, nel 1998 la convenzione con la Regione, 276 letti accreditati, il pronto soccorso, le ambulanze, il boom dei pazienti. Si può anche far finta di niente se il fatto non disturba, ma la casa di cura che diventa ospedale stravolge un assetto, urbano e viario. Il traffico è impazzito, un comitato di cittadini protesta, s'inventa un nome, «Contro l'Elefante» e comincia il suo tam tam. Come mai sono caduti i vincoli sulle casette che la Santa Rita ha acquistato per ingrandirsi? È rispettata la legge 626 con le sale operatorie nei sotterranei? In caso di allarme è tutto a norma? E ancora, perché si tagliano letti negli ospedali pubblici e se ne accreditano di nuovi privati? Il dossier va al Comune, che risponde: «Le varianti urbanistiche sono state concesse perché la struttura svolge un ruolo importante nell'erogazione di prestazioni sanitarie nell'ambito del servizio sanitario nazionale».

D'accordo. Poi il 20 luglio 2007, arriva una sorpresa: la Guardia di Finanza sequestra 2000 cartelle sanitarie, sospetta frode con l'uso dei Drg, il sistema dei rimborsi. L'Asl dispone la chiusura di 10 letti della chirurgia toracica. Invece di risparmiare la Regione ci rimette per l'aumento eccessivo dei costi dei ricoveri. Nessun giudizio, la Procura indaga. Ma una domanda ci sta: un ospedale può crescere dove non c'è lo spazio per farlo e questa crescita era proprio una pubblica utilità? Appena più avanti, nella zona, ce n'è un altro di ospedale che di spazio ne ha poco e chiede di espandersi, per crescere e garantire migliori servizi ai pazienti: via Venezian, Istituto dei tumori. Sette anni fa c'era un'occasione storica per dare a questo quartiere oltre a Città studi una Città della scienza. Istituto tumori e Centro neurologico Besta dovevano trasferirsi nell'area dell'ex Maserati, zona Rubattino, dove quel che resta della fabbrica è un dormitorio per clandestini. C'era già l'accordo Regione-Ministero. Leggiamo un comunicato della Regione, anno 2000: «Una zona che fa parte della storia di Milano esce dal degrado post-industriale e diventa un punto di riqualificazione dell'assistenza sanitaria e del tessuto sociale cittadino».

Sarebbe già tutto fatto. Il quartiere Rubattino uscirà dal degrado in qualche altro modo. Istituto tumori e Besta sono destinati a rinascere altrove: la Città della scienza adesso è prevista a Bovisa-Vialba, dall'altra parte di Milano. Ma ci vuole tempo, quattro-cinque anni almeno. In questa parentesi, tre segnalazioni al nostro camper. La prima: la sede di un'eccellenza europea nella cura dei tumori sembra una fabbrica occupata. Perché tante bandiere rosse sventolano davanti ai malati? La seconda: come mai tanti zingari stazionano davanti all'istituto maledicendo chi non fa l'elemosina? La terza: perché in via Celoria, sede del Besta, c'è un'illuminazione così scarsa? Oltre al futuro, c'è un attenzione al presente che il Comune non può ignorare. Non è solo decoro, è anche rispetto per i cittadini.

... da corriere.it




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